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La comunicazione del futuro: quando il Metaverso ha fatto strike

metaverso: comunicazione

Un articolo di Francesco Berlucchi

C’è un unico posto dove, quasi contemporaneamente, è possibile imparare a saldare il metallo in totale sicurezza, fare un’intervista al primo ballerino del Teatro alla Scala e progettare uno yacht dotato di suite, area wellness e helipad per l’elicottero. È il Metaverso, e non a caso le imprese continuano a mostrare grande interesse per questo nuovo mondo, soprattutto nell’ambito del retail e dell’entertainment. «Ci sono tre grandi gruppi di applicazioni del Metaverso nel mondo aziendale», racconta Lorenzo Cappannari, CEO & Co-Founder AnotheReality. La sua è una società di sviluppo software tridimensionale le cui competenze derivano dal mondo del videogame, che si occupa si sviluppare mondi virtuali accessibili da diversi device. «La prototipazione è la prima di queste funzioni. Pensate a uno yacht da sogno: oggi lo si progetta interamente tramite l’intelligenza artificiale. Poi c’è l’employ experience, il cui caso d’uso più raccontato è la collaborazione negli spazi virtuali. Infine, l’utilizzo maggiormente sperimentato dalle grandi aziende è la formazione, per esempio per allenare le soft skills e le hard skills di manager e dipendenti». Così, spiega Cappannari, un’azienda spagnola è diventata leader al mondo nella produzione di simulatori in realtà virtuale per i saldatori: «Una nicchia, che tuttavia agevola oggi un mestiere molto richiesto dall’industria metallurgica».

Dopo aver approfondito i nuovi scenari del lavoro e le prospettive della formazione nel Metaverso, il terzo capitolo del ciclo di incontri promosso dallo Humane Technology Lab si rivolge al rapporto tra il Metaverso e la comunicazione del futuro. Un tema cruciale, quando è «in corso una rivoluzione, con aspetti che non sono prevedibili», come ha detto l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi in un recente incontro promosso dallo stesso laboratorio dell’Università Cattolica diretto da Giuseppe Riva. «Io stessa ho imparato veramente tante cose ascoltando gli ospiti che il professor Riva ha coinvolto in questo progetto», commenta Alessia Cruciani, giornalista del Corriere della Sera. «Ho letto, in una ricerca dell’OCSE, che l’86% degli italiani tra i 18 e i 75 anni che utilizzano internet hanno sentito parlare di Metaverso, ma di questi solo l’8% è in grado di spiegare che cos’è. A utilizzarlo, secondo la stessa fonte, sarebbero un milione e 400mila persone in Italia, soprattutto per il gaming».

«Si sente spesso dire che a livello globale il mondo dei videogiochi pesa più di cinema e musica insieme», spiega Francesco Toniolo, docente di Forme e generi del cinema e dell’audiovisivo all’Università Cattolica. «È chiaro che ci sono una serie di nuovi settori che si aprono continuamente all’interno di quel medium che è il video ludico. Per fare un esempio: poco tempo fa Ivan Venturi, uno storico sviluppatore italiano di videogiochi, diceva che secondo lui tra non più di dieci anni ci sarà il boom dei videogiochi per la terza età. I confini del Metaverso oggi sembrano labili, ma anche i confini della gamification non sono così definiti. Eppure, quest’ultima rappresenta un concetto di grande successo, un’intuizione fortunata nell’ottica del marketing».

«Al Corriere della Sera probabilmente siamo stati i primi a fare le interviste nel Metaverso», aggiunge Cruciani. «La prima volta ho intervistato Roberto Bolle: senza gambe (le ricostruzioni 3D non tenevano in considerazione le gambe delle persone, ndr), pensavamo non accettasse. In effetti è il colmo per l’étoile della Scala. Invece si è divertito molto. Poi un mio collega ha intervistato Diletta Leotta: il campo da calcio virtuale si è subito riempito di avatar maschili».

«Concettualmente il Metaverso è un internet tridimensionale, immersivo, che ancora non c’è», continua Cappannari. «Un noto esperto, Matthew Ball, definisce il Metaverso come una visione di futuro. In fondo è ciò che aveva in testa Mark Zuckerberg quando, nel 2021, presentò Meta. La cosa più interessante, però, è il Metaverso che c’è. Vale la pena citare due interpretazioni. La industry è la prima: sotto la parola Metaverso oggi facciamo rientrare dei professionisti che prima non venivano identificati da un’etichetta. Io mi ci ritrovo molto, e come me anche gli artisti digitali tridimensionali, chi crea i digital twin, chi produce i visori di realtà virtuale. La formalizzazione di una industry del Metaverso è stata utile per provare a spiegare a mia mamma quello che faccio (sorride, ndr). La seconda interpretazione è l’esperienza di Metaverso, che è a cavallo tra un social network in real time e un’esperienza di engagement e di entertainment: è un’esperienza che nasce come videogioco, ma oggi il 90% della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012, ndr) sta dentro un videogioco non per solo giocare ma per socializzare con la community. Un po’ come quando la mia generazione andava al bowling anche se di giocare a bowling non ne voleva sapere. Era il luogo di socializzazione ad attirarci». Ed è per questo che il Metaverso ha fatto strike.

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