Meravigliarsi ai tempi dell’Intelligenza Artificiale
Un articolo di Francesco Berlucchi
Dalla base spaziale di Vandenberg, in California, lo scorso 12 giugno un razzo Falcon 9 di SpaceX ha portato in orbita la prima missione spaziale della storia della Chiesa. Il cubesat, un satellite miniaturizzato dalle dimensioni di una scatola da scarpe, è stato costruito dagli studenti del Politecnico di Torino e operato dall'Agenzia Spaziale Italiana con la missione di portare nello spazio il nanobook, realizzato dal CNR, con le parole pronunciate da Papa Francesco il 27 marzo 2020 durante la Statio Orbis, e le riflessioni che ne sono scaturite. Quel momento indimenticabile, nel quale sul sagrato della Basilica di San Pietro il Papa ha fermato il tempo e lo spazio, sospesi nell’angoscia della pandemia, è diventato un libro. Il volume è stato conservato al Deposito globale delle sementi, alle Isole Svalbard, come seme di speranza per tutta l’umanità, e poi ha cambiato nuovamente formato fino a diventare un nanolibro, inviato nello spazio in orbita eliosincrona per attraversare il cielo di tutto il mondo con il sorgere del sole.
«La tecnologia dev’essere un motore di speranza per tutta l’umanità» spiega don Luca Peyron, direttore della Pastorale universitaria di Torino, coordinatore del Servizio per l'Apostolato Digitale e docente di Teologia all’Università Cattolica, durante l’incontro “Meravigliarsi ai tempi dell’Intelligenza Artificiale: emozioni e tecnologia” nella prima edizione di Soul - Festival di Spiritualità promosso dall’ateneo e dall’Arcidiocesi di Milano. Per dare forma alle sue parole, Peyron sceglie il progetto “Spei Satelles”. «Questo satellite è stato costruito da ventenni, insieme ai loro professori e a professionisti esperti. La chiave del futuro, per continuare a meravigliarsi, è l’intergenerazionalità» prosegue il coordinatore del Servizio per l'Apostolato Digitale. «Se noi analogici siamo in grado di trasmettere la passione per la vita a chi è nato digitale, il mondo digitale sarà un mondo capace di continuare a custodire la vita. Siamo tutti nella stessa barca, nello stesso Pianeta, sulla stessa astronave».
«La meraviglia è un’emozione epistemica perché genera conoscenza, attiva in noi la voglia di espandere i nostri confini» racconta Giuseppe Riva, docente di Psicologia generale e di Psicologia della comunicazione e direttore di HTLab, il laboratorio dell’Università Cattolica che investiga il rapporto tra esperienza umana e tecnologia. «La meraviglia ha due facce molto diverse, in italiano sono rese dalla stessa parola ma gli americani utilizzano il termine wonder, la meraviglia positiva che fa scaturire voglia di emulazione, e awe, quella meraviglia che genera stupore ma anche paura. Ecco, l’Intelligenza Artificiale genera awe, perché non la capiamo».
Nella Sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera, durante il dialogo moderato da Massimo Sideri, editorialista del quotidiano milanese, Riva spiega che «ChatGPT non ha meraviglia, perché la meraviglia nasce dalla sorpresa mentre ChatGPT usa la probabilità, ciò che ci dice è prevedibile». Le risposte che ci fornisce non sono casuali, ma «frutto della previsione che fa la tecnologia», e sarà «tanto più precisa quanto più l’accesso alla base dati sarà vasto». Al contrario, la meraviglia ha un ruolo centrale nella nostra esistenza perché «ci permette di uscire dal quotidiano», prosegue Riva. «Ciascuno di noi tende a rimanere nella propria zona di comfort perché ci dà sicurezza. Andiamo a prendere il caffè in un certo bar perché sappiamo che lì il caffè ci piacerà. Facciamo cose che riusciamo a prevedere. Il problema è che a furia di non rischiare, e di non voler andare oltre la comfort zone, non cresciamo. Andare oltre la zona di comfort ha un costo, ed è la meraviglia che ci dà la forza di sostenere questo costo. Nella storia dell’uomo, è sempre stato uno degli elementi che ha permesso alla cultura di evolvere, e alle persone di affrontare sfide che all’inizio sembravano impossibili».
«Il mio nipotino ha undici anni, e come tutti i bambini gioca con i videogiochi» racconta Peyron. «Purtroppo, tifa la Juventus, e sceglieva sempre Cristiano Ronaldo (sorride, ndr). Sogno un videogioco in cui a un certo punto Ronaldo si fermi, si giri e gli dica: “Nico, adesso basta, vai a giocare in cortile, ci vediamo tra cinque ore”. L’immaginazione nasce dalle nostre ferite e dalle carezze che ci vengono date, dal desiderio di essere significativi per qualcuno. Se non ci educhiamo all’idea che essere significativi è molto diverso dall’essere performanti, riduciamo l’essere umano a macchina, a numero, a statistica». Eccolo, il segreto per continuare a meravigliarsi ai tempi dell’Intelligenza Artificiale. È nell’alleanza tra umano e macchina.
L'intervista è pubblicata su Secondo Tempo.
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