Kashmir Hill, cosa è meglio sapere sull’app che ruba la faccia
Un articolo di Francesco Berlucchi
Kashmir Hill scopre l’esistenza della startup Clearview AI pochi mesi dopo essere diventata una reporter del New York Times. Una storia troppo grande per non essere raccontata sulle pagine del quotidiano più famoso del mondo. Anzi, per non scriverci un libro. Nasce così “La tua faccia ci appartiene” (Orville Press, traduzione di Vittoria Parodi), l’inchiesta sulla startup che ha messo l’intelligenza artificiale al servizio della raccolta di immagini, utilizzando questi frame per il riconoscimento facciale su larga scala.
«Quando ne ho avuto la notizia, mi sono chiesta se questa tecnologia fosse vera e soprattutto chi ci fosse dietro» racconta la giornalista nella Cripta dell’Aula Magna, durante la presentazione del suo libro promossa da Humane Technology Lab (HTLab) dell’Università Cattolica. «Ho parlato con le forze dell’ordine, mi hanno confermato che si trattava di una tecnologia molto potente. Avrebbero caricato la mia foto per dimostrarmelo. Da allora, però, non ho più sentito nessuno. Avevano ricevuto un alert: ero stata riconosciuta da Clearview AI. Così mi sono messa alla ricerca della sede della startup, ma sembrava di essere dentro un libro di Harry Potter, alla ricerca del Binario 9 3/4».
La spy story raccontata da Hill aiuta a riflettere sul futuro che ci attende. E su «quanto queste tecnologie possano essere invasive e invadenti, con il nostro consenso» come sottolinea Massimo Sideri, editorialista del Corriere della Sera, che ha moderato l’evento. Secondo Sideri, la reporter del New York Times è «una delle voci più interessanti nel descrivere la trasformazione in corso». Su questi temi è «la firma da seguire» del quotidiano newyorkese, e grazie al suo stile, da giornalista d’inchiesta, il libro ci accompagna passo dopo passo lungo la «preoccupante indagine» condotta da Hill.
«Immaginiamo un mondo nel quale le persone possano dare il consenso al riconoscimento facciale, e che tramite i visori vi si possa riconoscere. Accettereste?» chiede la giornalista al pubblico presente nella Cripta, che risponde molto scettico. «Alla stessa domanda, a San Francisco più della metà delle persone ha detto di sì». «Gli studi che abbiamo fatto all’Università Cattolica hanno evidenziato che le tecnologie intelligenti, come la robotica e l’intelligenza artificiale, hanno portato un profondo cambiamento nel nostro punto di vista» racconta Giuseppe Riva, direttore dell’HTLab. «Quando gli umani e i robot si sono trovati a collaborare, abbiamo chiesto ai primi se preferissero condurre l’azione. L’80% delle persone ha scelto di lasciare ai robot la responsabilità dell’azione».
Il motivo? Presto detto. «Il robot, essendo intelligente, non avrebbe mai sbagliato» spiega il direttore del Laboratorio dell'Università Cattolica che investiga il rapporto tra esperienza umana e tecnologia, perché «a livello culturale ci viene detto che la tecnologia non sbaglia». Eppure dietro la «presunta oggettività» della dell’intelligenza artificiale si nascondono tanti altri problemi. «Ci dimentichiamo che anche l’intelligenza artificiale più avanzata viene addestrata sulla base di dati» chiosa il professor Riva. «Ci predice il passato, mentre noi umani dobbiamo prevedere il futuro. E questo solo gli umani sono in grado di farlo. Almeno per ora, e ancora per tanto tempo».
L'intervista è pubblicata su Secondo Tempo.
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